Titolo: Il divo
Regista: Paolo Sorrentino
Attori principali: Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo Ralli, Giovanni Vettorazzo, Cristina Serafini, Achille Brugnini, Victor Goubanov, Bob Marchese, Fanny Ardant,
Genere: drammatico
Durata: 110 minuti
Regista: Paolo Sorrentino
Attori principali: Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo Ralli, Giovanni Vettorazzo, Cristina Serafini, Achille Brugnini, Victor Goubanov, Bob Marchese, Fanny Ardant,
Genere: drammatico
Durata: 110 minuti
Trama: (fonte Wikipedia)
Il film narra una parte della vita di Giulio Andreotti, protagonista della storia politica italiana per decenni, raccontata nel periodo tra 1991 e 1993, a cavallo tra la presentazione del VII Governo Andreotti e l'inizio del maxiprocesso per associazione mafiosa a Palermo. La pellicola inizia con una lunga carrellata di omicidi o suicidi (Moro, Dalla Chiesa, Pecorelli, Falcone, Calvi, Sindona, Ambrosoli) scandita dalla musica di Toop toop dei Cassius. Seguono le parole delle lettere di Aldo Moro che dalla sua prigionia per mano delle Brigate Rosse si rivolgeva proprio ad Andreotti, evidenziandone la poca umanità e scongiurandolo di aprire le trattative coi terroristi per la sua liberazione. La vicenda principale prende il via il giorno della presentazione del VII Governo Andreotti, il 12 aprile 1991. Mentre la segretaria chiude le finestre («sta arrivando una brutta corrente», dice) si radunano alla residenza di Andreotti i "vertici" della sua corrente nella Democrazia Cristiana – tra gli altri Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella "lo squalo" e il cardinale Fiorenzo Angelini detto "Sua Sanità".
Mentre Andreotti si fa radere dal barbiere, i suoi sodali discutono di politica, ma Andreotti sembra interessato solo a che il suo farmaco preferito contro l'emicrania che lo perseguita da una vita resti inserito nel prontuario farmaceutico, e di questo si raccomanda col cardinale. Il Governo viene quindi presentato ai giornalisti, con profluvi di flash dei fotografi, ma esso appare subito segnato dall'immobilismo e dal «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» di Andreotti. La questione politica del giorno si sposta presto sulla futura elezione del Presidente della Repubblica, a successione di Francesco Cossiga. La corrente andreottiana, nonostante la defezione dello "squalo" Sbardella, passato ai dorotei, propone l'elezione di Andreotti al Quirinale.
Andreotti, richiesto di confermare la sua candidatura, risponde «sono di media statura, ma non vedo giganti attorno a me». Ma nella corsa al colle più alto il divo Giulio si scontra con l'opposta candidatura di Arnaldo Forlani, segretario della DC: convocati da Cirino Pomicino intorno ad un tavolo e richiesti di accordarsi, entrambi replicano «se c'è la sua candidatura, la mia non esiste», ed entrambi restano in lizza. Al momento della prima convocazione del Parlamento in seduta comune per l'elezione, scoppia la gazzarra: urla, lanci di oggetti e manette tintinnanti, il tutto sopra la testa dell'impassibile Andreotti, mentre il presidente dell'aula cerca inutilmente di far mantenere la calma agli onorevoli.
Segue una vivida rappresentazione del dietro le quinte dell'elezione, con i capannelli di parlamentari democristiani nei corridoi che cercano di accordarsi. Cirino Pomicino cerca di rappresentare razionalmente la soluzione "Andreotti al Quirinale, Forlani in segreteria, Martinazzoli alla vice-presidenza" come l'unico modo per poter continuare a governare in alleanza col PSI, contro la possibilità un nuovo governo monocolore di De Mita. La candidatura Andreotti, pensata come candidatura emergente allo scemare delle altre, fu invece bruciata dallo scandalo dell'omicidio del giudice Giovanni Falcone e di Salvo Lima, luogotenente degli andreottiani in Sicilia, ammazzato da Cosa Nostra per "avvisare il traditore" Andreotti. Nel film, infatti, si fa notare che Andreotti fugge dinanzi ai tentativi di Lima di parlare con lui proprio delle istanze della criminalità organizzata.
Al termine degli scrutini, risulta eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Dai banchi dei dorotei, l'ex andreottiano Vittorio Sbardella "lo squalo" sussurra al compagno di banco di guardare Andreotti, nel «momento che aspettava da tutta la vita» e «imparare come si sta al mondo», sottolineando il sangue freddo e la dignità di Andreotti davanti a questa grande sconfitta. La seconda parte del film s'incentra sui presunti rapporti di Andreotti con la mafia, fino alle udienze del maxiprocesso di Palermo. Persa l'elezione al Quirinale, la corrente andreottiana si sfalda, sotto l'onda di Mani Pulite (Cirino Pomicino e Sbardella sono prelevati in casa dalla polizia), della malattia e della morte (per Evangelisti e Salvo Lima). Sembra d'intuire che la caduta dell'establishment politico democristiano e socialista per mano dei giudici di Milano possa aver ricevuto una spinta da parte dello stesso Andreotti, che avrebbe attinto al suo enorme archivio personale per togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Appare quindi nel film Giancarlo Caselli, procuratore a Palermo, caricaturalmente tratteggiato più volte mentre si spruzza la lacca sui capelli bianchi prima di apparire in televisione o in udienza. Nei colloqui con diversi pentiti, Caselli e i suoi collaboratori ascoltano la versione dei pentiti sulla costruzione del potere andreottiano, sul suo rapporto con Cosa Nostra e sugli omicidi degli anni ottanta. Iniziando col giornalista Mino Pecorelli, che sarebbe stato ucciso dalla mafia su ordine di Andreotti perché venuto in possesso del memoriale Moro, contenente rivelazioni scottanti.
Passando per Roberto Calvi e Michele Sindona, banchieri che riciclavano i denari della mafia attraverso la banca vaticana (lo IOR), e che proprio per essersi appropriati di somme ingenti dalla mafia furono messi a morte. Continuando con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, spedito in Sicilia a combattere la mafia senza poteri speciali, e ucciso prima che a Palermo potesse fare alcunché: ucciso perché persona scomoda per qualcuno a Roma. Fino a Salvo Lima, sodale della corrente andreottiana, ammazzato a Palermo come avvertimento ad Andreotti, per aver utilizzato i voti della mafia senza aver dato abbastanza in cambio.
Nel corso di questi colloqui tra Caselli e i pentiti di mafia vengono rappresentati, come flashback, i colloqui tra Andreotti e i capi della mafia, tra cui Stefano Bontade e Totò Riina, con il famoso bacio, e il supposto rituale di affiliazione, il giuramento di mafia con ago e sangue. Da parte sua, Andreotti si decide a combattere fino in fondo quest'ultima battaglia per la giustizia, mobilitando le sue risorse, «che non sono poche». Il senatore rifiuta categoricamente qualsiasi ipotesi di una sua collusione con la mafia, negandolo a se stesso e perfino al suo confessore, e opponendo ai pentiti di mafia la sua vita da "sorvegliato speciale" da parte della scorta, con movimenti costantemente controllati.
Il film narra una parte della vita di Giulio Andreotti, protagonista della storia politica italiana per decenni, raccontata nel periodo tra 1991 e 1993, a cavallo tra la presentazione del VII Governo Andreotti e l'inizio del maxiprocesso per associazione mafiosa a Palermo. La pellicola inizia con una lunga carrellata di omicidi o suicidi (Moro, Dalla Chiesa, Pecorelli, Falcone, Calvi, Sindona, Ambrosoli) scandita dalla musica di Toop toop dei Cassius. Seguono le parole delle lettere di Aldo Moro che dalla sua prigionia per mano delle Brigate Rosse si rivolgeva proprio ad Andreotti, evidenziandone la poca umanità e scongiurandolo di aprire le trattative coi terroristi per la sua liberazione. La vicenda principale prende il via il giorno della presentazione del VII Governo Andreotti, il 12 aprile 1991. Mentre la segretaria chiude le finestre («sta arrivando una brutta corrente», dice) si radunano alla residenza di Andreotti i "vertici" della sua corrente nella Democrazia Cristiana – tra gli altri Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella "lo squalo" e il cardinale Fiorenzo Angelini detto "Sua Sanità".
Mentre Andreotti si fa radere dal barbiere, i suoi sodali discutono di politica, ma Andreotti sembra interessato solo a che il suo farmaco preferito contro l'emicrania che lo perseguita da una vita resti inserito nel prontuario farmaceutico, e di questo si raccomanda col cardinale. Il Governo viene quindi presentato ai giornalisti, con profluvi di flash dei fotografi, ma esso appare subito segnato dall'immobilismo e dal «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» di Andreotti. La questione politica del giorno si sposta presto sulla futura elezione del Presidente della Repubblica, a successione di Francesco Cossiga. La corrente andreottiana, nonostante la defezione dello "squalo" Sbardella, passato ai dorotei, propone l'elezione di Andreotti al Quirinale.
Andreotti, richiesto di confermare la sua candidatura, risponde «sono di media statura, ma non vedo giganti attorno a me». Ma nella corsa al colle più alto il divo Giulio si scontra con l'opposta candidatura di Arnaldo Forlani, segretario della DC: convocati da Cirino Pomicino intorno ad un tavolo e richiesti di accordarsi, entrambi replicano «se c'è la sua candidatura, la mia non esiste», ed entrambi restano in lizza. Al momento della prima convocazione del Parlamento in seduta comune per l'elezione, scoppia la gazzarra: urla, lanci di oggetti e manette tintinnanti, il tutto sopra la testa dell'impassibile Andreotti, mentre il presidente dell'aula cerca inutilmente di far mantenere la calma agli onorevoli.
Segue una vivida rappresentazione del dietro le quinte dell'elezione, con i capannelli di parlamentari democristiani nei corridoi che cercano di accordarsi. Cirino Pomicino cerca di rappresentare razionalmente la soluzione "Andreotti al Quirinale, Forlani in segreteria, Martinazzoli alla vice-presidenza" come l'unico modo per poter continuare a governare in alleanza col PSI, contro la possibilità un nuovo governo monocolore di De Mita. La candidatura Andreotti, pensata come candidatura emergente allo scemare delle altre, fu invece bruciata dallo scandalo dell'omicidio del giudice Giovanni Falcone e di Salvo Lima, luogotenente degli andreottiani in Sicilia, ammazzato da Cosa Nostra per "avvisare il traditore" Andreotti. Nel film, infatti, si fa notare che Andreotti fugge dinanzi ai tentativi di Lima di parlare con lui proprio delle istanze della criminalità organizzata.
Al termine degli scrutini, risulta eletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Dai banchi dei dorotei, l'ex andreottiano Vittorio Sbardella "lo squalo" sussurra al compagno di banco di guardare Andreotti, nel «momento che aspettava da tutta la vita» e «imparare come si sta al mondo», sottolineando il sangue freddo e la dignità di Andreotti davanti a questa grande sconfitta. La seconda parte del film s'incentra sui presunti rapporti di Andreotti con la mafia, fino alle udienze del maxiprocesso di Palermo. Persa l'elezione al Quirinale, la corrente andreottiana si sfalda, sotto l'onda di Mani Pulite (Cirino Pomicino e Sbardella sono prelevati in casa dalla polizia), della malattia e della morte (per Evangelisti e Salvo Lima). Sembra d'intuire che la caduta dell'establishment politico democristiano e socialista per mano dei giudici di Milano possa aver ricevuto una spinta da parte dello stesso Andreotti, che avrebbe attinto al suo enorme archivio personale per togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Appare quindi nel film Giancarlo Caselli, procuratore a Palermo, caricaturalmente tratteggiato più volte mentre si spruzza la lacca sui capelli bianchi prima di apparire in televisione o in udienza. Nei colloqui con diversi pentiti, Caselli e i suoi collaboratori ascoltano la versione dei pentiti sulla costruzione del potere andreottiano, sul suo rapporto con Cosa Nostra e sugli omicidi degli anni ottanta. Iniziando col giornalista Mino Pecorelli, che sarebbe stato ucciso dalla mafia su ordine di Andreotti perché venuto in possesso del memoriale Moro, contenente rivelazioni scottanti.
Passando per Roberto Calvi e Michele Sindona, banchieri che riciclavano i denari della mafia attraverso la banca vaticana (lo IOR), e che proprio per essersi appropriati di somme ingenti dalla mafia furono messi a morte. Continuando con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, spedito in Sicilia a combattere la mafia senza poteri speciali, e ucciso prima che a Palermo potesse fare alcunché: ucciso perché persona scomoda per qualcuno a Roma. Fino a Salvo Lima, sodale della corrente andreottiana, ammazzato a Palermo come avvertimento ad Andreotti, per aver utilizzato i voti della mafia senza aver dato abbastanza in cambio.
Nel corso di questi colloqui tra Caselli e i pentiti di mafia vengono rappresentati, come flashback, i colloqui tra Andreotti e i capi della mafia, tra cui Stefano Bontade e Totò Riina, con il famoso bacio, e il supposto rituale di affiliazione, il giuramento di mafia con ago e sangue. Da parte sua, Andreotti si decide a combattere fino in fondo quest'ultima battaglia per la giustizia, mobilitando le sue risorse, «che non sono poche». Il senatore rifiuta categoricamente qualsiasi ipotesi di una sua collusione con la mafia, negandolo a se stesso e perfino al suo confessore, e opponendo ai pentiti di mafia la sua vita da "sorvegliato speciale" da parte della scorta, con movimenti costantemente controllati.
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